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da cosa cerchi di proteggerti la vita abrasiva newsletter rick dufer daily cogito 21 gennaio 2024

Da cosa cerchi di Proteggerti?

La Vita Abrasiva Devo confessarvi che questa è stata la settimana più difficile degli ultimi anni, fortunatamente conclusasi con una serata tra amici che mi ha ridato un po’ di carburante, e non è sempre facile portare avanti il lavoro che faccio (dividendo il più possibile nettamente vita privata e vita pubblica) di fronte alle abrasioni con cui la vita ti sorprende. Ma non sono qui per lamentarmi, in fin dei conti riesco ad essere grato anche dei momenti di prova perché mi danno migliori indizi su quello che sono veramente (come discusso nel DC di venerdì). Quello di cui vorrei parlare oggi è l’importanza di essere disposti ad affrontare le abrasioni, le levigature, l’erosione che la vita opera continuamente sulle nostre finzioni. Nasciamo come individui allo stato brado e la cultura, l’educazione, la socialità, le convenzioni ci ricoprono con uno strato protettivo che diventa al tempo stesso la nostra maschera: le diverse identità di cui ci vestiamo, le parole e il gergo che adottiamo, le abitudini che non mettiamo in discussione a lungo, e tutto questo diventa da un lato il campo magnetico che aiuta a sviluppare relazioni, dall’altro la finzione cardine che ci impedisce di vedere ciò che sta sotto, quello “stato brado” con cui ci affacciamo al mondo, nudi, in origine.  Ci mostriamo agli altri, nascondendoci a noi stessi, e dimentichiamo che la parte profonda della nostra esistenza, quella che ribolle sotto le maschere, sotto le identità, sotto le parole, non aspetta altro che riemergere per prendere una boccata d’aria. Nel tempo mi sono reso conto che dimenticarsi di quella parte è un grave delitto che commettiamo contro noi stessi perché, per quanto possiamo convincerci di poterla tenere a bada, quella parte riemergerà nei modi più impensabili, e proteggerci da essa (fortificando le finzioni) non farà che rimandare l’inevitabile, rendendolo sempre più dirompente mano a mano che il tempo scorre. Allora, credo che l’unico modo per affrontare quell’inevitabilità sia non fuggire dai momenti in cui la vita, con la sua capacità abrasiva, apre una breccia nella corteccia protettiva che la cultura e la socialità ci hanno fornito, e lasciare che il fondo emerga senza troppe paure. Quando i nostri programmi falliscono, quando le certezze crollano o la vita ci sottrae quello su cui avevamo fondato parte della nostra serenità, non dobbiamo fuggire: se lo facciamo è perché stiamo cercando di proteggere le nostre finzioni, dando loro il ruolo sbagliato. Quello che invece dobbiamo proteggere è proprio quel fondo, che è stato nascosto in parte dalle finzioni e dai costrutti sociali: per quanto ci possa spaventare, è proprio lì che si celano tanto la nostra forza quanto la nostra vulnerabilità. Quando ci troviamo denudati di tutto, di fronte allo specchio, e ci accorgiamo della nostra naturale e spogliata umanità, lì dobbiamo avere il coraggio di proteggere ciò che stiamo vedendo: non le finzioni, non le parole, non le convenzioni, che comunque sono fatte per essere spazzate via. Proteggi la tua vita brada, rendendotela famigliare, abituando a sopportare quel che sei davvero, in profondità, e tenta di conoscerti senza timore. Prendersi cura di sé è proprio questo: guardarsi allo specchio nudi senza voler fuggire nella cecità delle finzioni. E con questo, vi mando un caro saluto. Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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In Equilibrio tra il FUORI e il DENTRO Fondamenta solide, fondamenta liquide newsletter rick dufer daily cogito 14 gennaio 2024

In Equilibrio tra il FUORI e il DENTRO

Fondamenta solide, fondamenta liquide Non lasciare che un’amicizia tradita ti convinca che nessuna amicizia vale la pena di essere coltivata. Non permettere a una delusione d’amore di persuaderti che l’amore non esiste. Così come un infarto non può convincere nessuno che il cuore sia inutile, le cose della mente e dei sentimenti esistono e resistono anche quando là fuori qualcosa le rompe. La vita è un delicato equilibrio che ti porta da un lato ad adattarti a ciò che l’ambiente circostante ti impone, più o meno violentemente (educazione, cultura, lingua, condizioni economiche, sociali, politiche, imprevisti, et cetera), dall’altro a nutrire idee, convinzioni e valori a prescindere dai contesti che ti circondano. Perdere una persona cara significa affrontare un dolore immane, la costrizione ad adattarsi ad un nuovo stato di cose molto complicato, ma non mi esenta dalla volontà di trovare altre persone di valore lì fuori nella vita; perdere un lavoro che amavo mi mette in condizione di dovermi adeguare ad una nuova situazione, ma non deve per forza corrispondere alla morte della passione e della ricerca di un sogno; se penso di essere un uomo di valore, non sarà un semplice fallimento sul mio cammino a mutare questa idea di me stesso. E così via, la serenità sta nel trovare l’equilibrio tra ciò a cui accetto di adattare la mia visione e i presupposti da cui quella visione parte. Da un lato l’esteriorità, che mi getta addosso il suo carico di condizionamenti, dall’altro l’interiorità, che si slancia verso il mondo per non arrendersi alle imposizioni esterne. Troppo spesso ci troviamo a vivere una realtà deludente a cui non corrisponde questo equilibrio: ci accorgiamo che i nostri presupposti erano troppo fragili e incerti e la situazione esterna li demolisce tristemente. Ci sono individui innamorati del proprio partner che credono nell’amore, ma appena vengono delusi smettono di credere nell’amore e diventano cinici e aridi; altri, pieni di progetti, sogni e slanci vitali, ma appena un fallimento incontra il loro cammino si disilludono e la piantano di punto in bianco con i sogni, e anzi lavorano per demolire quelli altrui. In quel caso, non c’era stato un buon lavoro di approfondimento dei propri presupposti, non ci si era chiesti “ma perché e come sono arrivato a pensarla così?”, oppure “la mia identità quanto è ben connessa alle convinzioni che porto dentro?”  Queste mancate domande rendono fragili i presupposti, che magari sono stati adottati non per comprensione ma per convenienza, pigrizia o fraintendimento molti anni prima, quando le cose andavano a gonfie vele e la tempesta sembrava lontana. Se vuoi trovare quell’equilibrio, chiediti perciò oggi, in tempo di pace: “Come la penso davvero sul mondo? E perché la penso così?” Quando la realtà metterà alla prova le tue fondamenta, scoprirai di averne di più solide di quanto pensassi.  Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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FENICE o FELICE Come Rinnovarsi nel 2024 Come rinnovarsi (non solo nel 2024) newsletter rick dufer daily cogito 7 gennaio 2024

FENICE o FELICE? Come Rinnovarsi nel 2024

Come rinnovarsi (non solo nel 2024) Facile andare a fuoco, quando sei una fenice. Ma noi non siamo fenici e, quando andiamo a fuoco, restiamo incazzati e carbonizzati sul pavimento. Non rinasciamo dalle ceneri, non depositiamo un uovo da cui risorgere, e l’atto di rinnovarci è maledettamente complicato. Eppure, è possibile farlo, con un giusto atteggiamento. Perciò, come possiamo intraprendere un percorso di rinnovamento quando ci siamo sbriciolati? La risposta è: devi iniziarlo ben prima di andare in briciole! Sì perché spesso desideriamo rinnovarci solo quando è troppo tardi: “Ah, come vorrei che le cose fossero diverse!” Ma ora è troppo tardi, ora rimangono solo le ceneri, ora solo la fenice potrebbe spiccare il volo e andarsene. Ma tu no, rimani lì a piangere sulle ceneri sparse. Dagli incendi, dai disastri e dalle catastrofi dobbiamo trarre questo insegnamento: il rinnovamento inizia quando l’incendio sembra lontano, il disastro impossibile, la catastrofe invisibile. L’atto di rinnovarsi dev’essere continuamente alimentato per far sì che il fuoco non ci colga completamente impreparati. In una relazione, sul lavoro, con le proprie passioni, in ogni ambito significativo della vita dobbiamo alimentare la nostra presenza evitando di lasciare che le cose procedano con il pilota automatico, ma vigilando sui modi con cui la vita si presenta di volta in volta davanti a noi: il rinnovamento corrisponde al non dare mai niente per scontato, allo sforzarsi di “stare lì” e osservare i micro-cambiamenti che poi possono trasformarsi in incendio, ad accompagnare gli istanti della vita da individuo sveglio e consapevole, non da zombie passivo e svogliato. Saper anticipare e immaginare il disastro futuro significa proprio questo: osservare i modi apparentemente innocui con cui il disastro futuro si prepara nel tuo oggi; vedere l’incendio a venire studiando le scintille che oggi si sprigionano nei luoghi più impensati. Attenzione però: questo non ci garantisce affatto di poter evitare, esorcizzare, cancellare gli incendi, ma vuol dire solo prepararsi al rinnovamento. L’incendio prima o poi avverrà, ma se avrò avuto la saggezza di vederlo nascere, crescere, se sarò stato presente nelle sue silenziose micro-genesi, allora sarò pronto a risorgere dalle ceneri una volta che si sarà scatenato e acquietato. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia l’incendio futuro ha la speranza di potersi rinnovare quando il cielo tornerà sereno. E, ne sono certo, anche la fenice non lo fa per magia: la fenice sa, in cuor suo, che tutto diventerà cenere e che dalle ceneri ci sarà un nuovo inizio.  Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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Cosa ne hai fatto dei CAMBIAMENTI Che ne fai della trasformazione newsletter rick dufer daily cogito 24 dicembre 2023

Cosa ne hai fatto dei CAMBIAMENTI?

Che ne fai della trasformazione? “Qualunque tentativo di fermare il tempo, di impedire alle ere di susseguirsi, alle epoche di morire e rinascere, al mondo di mutare radicalmente, è destinato a essere spazzato via; l’incapacità di accettare il cambiamento è la prima causa delle sconfitte che ci colpiscono durante la vita e, per quanto sia crudele, dobbiamo tentare di accettare la trasformazione che ci circonda, adattandoci a essa e cercando in noi, durante questo lungo travaglio, le forze per compiere sempre le scelte più giuste.” Un anno fa circa scrivevo queste parole. Si tratta di un paragrafo del mio “La parola a don Chisciotte“, Feltrinelli 2023, e mi sono ritrovato a chiedermi: cos’ho fatto con i cambiamenti della mia vita durante questo travagliato anno? Sicuramente molti cambiamenti li ho accettati, sia nella mia interiorità che nel mondo che mi circonda; altri, mea culpa, ho cercato in ogni modo di frenarli, e infatti mi hanno danneggiato molto più di quanto avrebbe fatto una serena accettazione della mia impotenza di fronte al destino. Mi pare che l’espressione “aver cura di sé” abbia molto a che vedere con l’accettazione e la gratitudine: accettare che le cose cambieranno ed essere grato di poter non solo assistere, ma diventare parte integrante di questi cambiamenti, che in fin dei conti sono sinonimi di “vivere”, è la strada per non essere più nemico di me stesso. Auguro a tutti i lettori di questa newsletter di lavorare per poter accettare, a volte con fastidio e attrito ma pur sempre accompagnati da un sentimento di gratitudine, il cambiamento che travolge l’esistenza, di cui cerchiamo di essere protagonisti e attori, non solo spettatori e vittime. Grazie per questo incredibile anno di CogitoLetter (che continuerà, ve lo ricordo, anche durante le festività): sono grato di aver vissuto i cambiamenti, accompagnato dai vostri occhi avidi di idee, conoscenza e filosofia. Vi abbraccio e vi auguro buone festività! Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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essere coraggiosi ma nel modo giusto il coraggio ma non quello degli eroi newsletter rick dufer daily cogito 17 dicembre 2023

Essere Coraggiosi, ma nel modo giusto

Il coraggio, ma non quello degli eroi Il coraggio dei grandi eroi è solo fumo negli occhi. Quel coraggio roboante, evidente, ostentato, ci fa dimenticare che il coraggio necessario all’esistenza non è mica quello lì. Il coraggio degli eroi è solo marketing di basso livello, una spinta motivazionale che al tempo stesso ci permette di non dover essere coraggiosi: “Se quello è il coraggio” pensiamo, “io mica sarò capace di essere coraggioso.” Se il coraggio è quello che ride in faccia alla morte, che si lancia da un precipizio per salvare la giornata, che scardina l’intero apparato del male universale, allora io sono esentato dall’essere coraggioso e potrò esserne solo spettatore. E così, diventiamo vigliacchissimi. Il coraggio vero, al contrario, è quello silenzioso che non si mostra, che non fa rumore, che non si manifesta con evidenza. Il coraggio è il freddo accompagnatore della tragedia, che riesce a stare accanto alla realtà quando questa va a rotoli. Il coraggio è stare accanto a un genitore mentre abbandona questa vita. Il coraggio è non scappare dall’amico quando i debiti stanno distruggendo la sua esistenza. Il coraggio è rispondere “ci sono”, ma sussurrandolo, quando tuo figlio cade in un baratro da cui sarebbe impossibile trarsi in autonomia. Il coraggio degli eroi ci distrae dal fatto che dobbiamo rispondere alle chiamate della vita con coraggio, anche se abbiamo paura, anche se siamo incerti, anche se non sappiamo quel che stiamo facendo. Anzi, proprio in virtù del fatto che siamo incerti e traballanti, il coraggio diventa necessario. Io spero di essere all’altezza di quel coraggio, non quello delle storie di The Rock o della letteratura cavalleresca: non ho una corona o un bicipite da difendere o usare contro il male, ma solo i pochi mezzi che la vita mi ha dato per cercare di tenere insieme i pezzi della mia realtà. Il coraggio è stare lì, mentre tutto ti dice di andartene, semplicemente perché sai che scappando diventeresti parte di quelle cose che ti spaventano, che ti sono antagoniste, che vogliono vederti crollare. Chi non è coraggioso diventa parte dei cattivi, anche se in cuor suo non l’ha mai voluto. Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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Disintossicarci dalle Aspettative tossico-aspettativa-dipendenti hype delusione newsletter 10 dicembre daily cogito rick dufer

Disintossicarci dalle Aspettative

Tossico-aspettativa-dipendenti La lezione che possiamo apprendere dall’annuncio del trailer di GTA VI è la stessa che da millenni la filosofia ripete, ma che facciamo così fatica a fare nostra: la tua infelicità è prodotta dalle aspettative che nutri e che poi vengono regolarmente deluse. La strada per una ragionevole felicità è quella di imparare a mettere a dieta le aspettative, senza farsi trascinare dal gorgo emotivo che ti convince di come la realtà di domani sia migliore di quella odierna. Perché le aspettative promettono esattamente questo: il trailer di GTA VI viene atteso dai videogiocatori come il contenuto che li salverà dall’inedia dell’industria attuale. Si immagina un mondo utopistico in cui il gioco perfetto uscirà e ci salverà dalla noia e dalla ripetitività. Su questo fa leva la società dell’hype-marketing, nella quale ormai viviamo immersi in trailer, teaser trailer, recensioni dei teaser trailer, trailer delle recensioni ai trailer dei teaser, e così via, in una regressione il cui unico scopo è ingozzarci di aspettative che poi saranno necessariamente non mantenute perché la realtà non è mai in linea con le nostre fantasie, soprattutto quando utopistiche. Questo è applicabile a ogni cosa: alle relazioni, al lavoro, all’arte, alla cura di sé. Ma ovunque ci stiamo sempre più abituando a vivere di aspettative, preparandoci così alla delusione quotidiana. Sapete perché il detto “non incontrare mai il tuo idolo” è una grande verità? Non perché gli idoli siano necessariamente degli stronzi pronti a deluderti, ma perché se tu “idolatri” stai inevitabilmente preparandoti alla delusione, e la colpa non è mica dell’idolo. Questo vale tanto per il videogioco di GTA (che più verrà pompato, più verrà comprato e poi più deluderà) quanto per le persone che incontriamo nella vita reale dopo averle innalzate su un piedistallo irragionevole. Credo che, da un certo punto di vista, si tratti di un’autodifesa: sapendo che la realtà è dura e ti impone di portare i piedi per terra, la nostra testa deve costruirsi un mondo fantastico in cui fluttuare gioiosi, per quanto drogati da irreali aspettative. In questo paradosso, nutriamo aspettative per essere felici, ma quelle stesse aspettative sono quelle che poi ci gettano nella miseria. Lo stesso meccanismo dell’eroina e di qualsiasi altra dipendenza. Ecco, la lezione che apprendo dall’uscita del trailer di GTA (o di qualsiasi altro trailer al mondo) è: siamo drogati di aspettative e, come ogni tossicodipendente, dobbiamo chiedere aiuto a chi di dovere. Forse, alla filosofia. Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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