La consapevolezza dell’ignoranza cosa ti fa?
Alcuni, di fronte alla considerazione “non ne saprai mai abbastanza” si abbattono e si convincono che il gioco non vale la candela. Altri (sottoscritto compreso) si sentono stimolati a procedere, ben conoscendo che il traguardo finale sarà sempre e comunque un quasi-nulla-di-fatto.
Ciò che mi spinge a perseverare nel campo della curiosità, pur consapevole che non ne saprò mai abbastanza, è la consapevolezza che ciò si applica non solo alle conoscenze tecniche, scientifiche o culturali, ma anche alle relazioni, al carattere, alla mia stessa psiche. Non ne saprò mai abbastanza di me stesso, di mia moglie, dei miei vicini, delle mie paure, dei miei difetti, e solo molto dopo arrivo a dire: non ne saprò mai abbastanza di filosofia, di fisica, di psicologia, et cetera.
Mi sono convinto, nel tempo, che chi si arrende al “mai abbastanza” e getta la spugna (smettendo di incuriosirsi e studiare, arrendendosi alla conoscenza altrui e all’estraneità, non nutrendo un sapere nei confronti di qualsiasi cosa possa attirarlo) finisce per inaridirsi e lasciare molto di più la propria vita in mano al caso.
Se non nutro la curiosità, se smetto di cercare, se mi arrendo all’ignoranza, allora la mia condizione diventa statica e ciò significa che i movimenti del mondo mi prenderanno sempre alla sprovvista, mi sballotteranno a destra e a manca senza che io possa farci granché, diventerò simile a una palla di gomma che rimbalza insensibilmente verso la morte. E ciò, per me, è angosciante.
Per questo, credo che la fatica della curiosità sarà sempre meno dolorosa e tragica della staticità solo apparentemente comoda. E che il “sapere di non sapere” deve davvero diventare un motore di auto-comprensione e non un anatema da rifuggire.
Avere il coraggio di affacciarsi alla propria ignoranza e accettarla, senza ritrarsi, è parte integrante del saper sopravvivere ad un mondo di continuo cambiamento.