Attenti ad avere un perno.
Il perno è un appoggio esterno al sé intorno a cui gira tutta la propria vita psicologica. Il perno è fondamentale perché senza di esso si brancola disordinatamente nel buio ed esso ci dà il proverbiale punto di gravità (im)permanente utile a non naufragare.
Il perno può essere nel lavoro, in una persona, dentro un hobby, in qualcosa che si possiede; può essere materiale o immateriale, intermittente o costante; ci motiva, ci spinge, ci dà solidità.
Ma poi, sparisce. O meglio: rischia sempre di sparire.
E quando il perno sparisce, ecco che si ondeggia, si affonda, si oscilla e ci si ritrova nello stesso naufragio che il perno ci evitava, ma molto peggiore: infatti, è un naufragio condito di delusione, di amara sorpresa, di riottosità. Un naufragio in cui dapprima ci si dice “ma com’è stato possibile” e che poi ci fa dire “come ho potuto permetterlo”. Un naufragio che è anch’esso un’occasione di maturazione: infatti, ci permette di comprendere quanto il perno fosse fondamentale e sopravvalutato, prezioso e dato per scontato. Di quanto il perno, senza eccezioni, prima o poi si dimostri per quello che era: una piccola dipendenza da cui non sapevamo distaccarci e che, come ogni dipendenza, ci ha gettato nel caos.
Una volta caduto il perno, dopo l’inevitabile momento di sbandamento più o meno devastante, giunge il momento di chiedersi: a quale perno legherò domani la mia stabilità?
C’è chi soccombe alla perdita del perno e non torna mai più indietro.
C’è chi si sceglie un altro perno esterno a sé, e quindi si prepara al prossimo naufragio inconsapevole.
C’è chi si impernia su di sé e comprende che c’è un’unica serenità in questo mondo: trovare dentro di sé la stabilità che ti permette, anche in mezzo alla tempesta, di dire “nulla potrà essermi veramente sottratto”.
Lo so, sembra impossibile, ma si può fare. Almeno, bisogna provarci.