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Un capitolo di “Seneca tra gli zombie”

Dopo il video che ho dedicato a Ricky Gervais, qualcuno mi ha detto: “Rick, ma la tua difesa della satira non contraddice ciò che hai scritto sul libro a riguardo del sarcasmo imperituro?” – la risposta è NO, ovviamente, e mi sono sentito di condividere con voi il testo di quel capitolo per comprendere meglio il legame tra quel video e le parole scritte nel libro. 

Il sarcasmo imperituro e la società del meme
David Foster Wallace disse che l’ironia, pur essendo una figura retorica estremamente ricca e importante, diventa dannosa quando si trasforma nella chiave interpretativa della realtà. Insomma, se iniziamo a fare ironia su tutto perché ogni cosa merita di essere trattata in quel modo, rischiamo di perdere per strada la comprensione del mondo.

L’ironia, ma ancora peggio il suo cugino cattivo, ovvero il sarcasmo, si sta prendendo ogni cosa. Tutti si credono artisti della satira, tutti diffondono il proprio black humour, tutti fanno sarcastiche battute su ogni aspetto del mondo, dal più serio al più faceto, dalle tragedie alle cose ridicole, dalla politica allo spettacolo, trasformando ogni cosa nell’improbabile sceneggiatura di comici improvvisati.

Non importa che cosa colpisca il nostro sguardo, noi sappiamo che potremo farne una battuta. Viviamo un eccesso di sarcasmo che depotenzia la nostra relazione con il mondo e anche il nostro umorismo. Il sarcasmo, linguaggio di cui ho grande stima perché ritengo personaggi come Bill Hicks e George Carlin assolutamente centrali per la mia formazione intellettuale, è proprio ciò che, come diceva Hegel, sta trasformando il mondo in una notte dove tutte le vacche sono nere: se tutto diventa ridicolo, oggetto di battute più o meno riuscite, allora nulla si distingue più dal resto e noi rimaniamo senza appigli per orientarci.

Ridere sguaiatamente di ogni cosa significa trasformare tutto in una cosa ridicola, senza tener conto delle differenze che la vita continua a mostrarci. La risata imperitura è il dominio dell’indifferenziato.
Lo vediamo ogni giorno su internet, dove qualsiasi fenomeno si trasforma in materiale per “meme” (rappresentazioni ritagliate e decontestualizzate, spesso accompagnate da testo, che prendono forme intercambiabili a seconda della re-interpretazione, spesso sarcastica, del fenomeno), dove l’evento più drammatico e destabilizzante viene usato per creare ulteriore ilarità fasulla, scatenando nelle chat una caterva di “ahahahahah” scritti da persone che non stanno davvero ridendo e anzi sono angosciate e prive di coordinate interpretative.

Se c’è un aspetto del nostro mondo contemporaneo che ritengo problematico e pericoloso è proprio questo: aver trasformato ogni cosa in meme. La tragedia del Mottarone ha scatenato quasi in contemporanea cronisti e sedicenti satirici di internet; la famosa foto di Aylan, il bimbo morto sulla spiaggia di Bodrum e la cui vicenda è diventata icona del dramma migratorio, è stata ridicolizzata in migliaia di modi su siti che vivono del sarcasmo spicciolo; il dramma delle Torri Gemelle è uno degli eventi maggiormente presi di mira dal cartone animato “Family Guy” (di cui per anni sono stato spettatore), il cui umorismo tenta di smontare qualsiasi serietà che si possa porre nei confronti di un evento così devastante. La lista è infinita e potrei andare avanti per intere pagine, ma credo che il punto sia chiaro: siamo pervasi da un sarcasmo che diventa la patina con cui leggiamo il mondo, come se fosse la prima e più immediata risposta cognitiva a tutto quello che ci accade.

Io sono convinto che su tutto si possa scherzare e che, anzi, la capacità di fare ironia sui fatti del mondo sia parte importante della nostra intelligenza. Grazie all’ironia puoi prendere le distanze da un evento che ti ha emotivamente colpito e guardarlo con maggior lucidità; il sarcasmo ti permette di guardare le cose con maggior freddezza e quindi concedendoti una comprensione più ampia; la satira è un linguaggio fondamentale dell’arte e della letteratura, da Jonathan Swift a Man Ray, ed è strumento efficacissimo per smantellare molti dei pregiudizi che nutriamo nei confronti di temi quali il potere, la violenza e la cultura.

Non esiste perciò argomento su cui sia vietato fare satira o sarcasmo, ma questi linguaggi funzionano quando spiccano sul resto, quando si distinguono dal rumore che pervade il nostro campo mentale, quando la loro raffinatezza si oppone al grezzo degli eventi che ci circondano e, in questo modo, accendono una lampadina nella nostra testa. “Una modesta proposta” di Jonathan Swift è un folgorante libretto satirico che permette al lettore, attraverso l’espediente della satira più crudele, di vedere meglio che cosa sia la povertà, cosa comporti la diseguaglianza, quali siano le conseguenze delle spaccature sociali: la modesta proposta di Swift è quella di combattere la miseria in Irlanda mangiando i bambini dei poveri e il pamphlet, con un delizioso tono diplomatico, sciorina tutte le ragioni economiche, persino le ricette migliori, per portare avanti la proposta. La genialità di Swift sta nella padronanza del linguaggio satirico, che pochissimi posseggono, ma soprattutto nel fatto che “Una modesta proposta” si ergeva sulla retorica vigente per brillantezza e spirito affilato.

Un tale libro, nella nostra epoca, diventerebbe solo un altro dei meme nel rumore di fondo che pervade la nostra comunicazione e, indistinto e indistinguibile, finirebbe per essere derubricato allo status di ennesima provocazione politica inutile.

La tragedia del sarcasmo imperituro è ben narrata nel film “Joker”, diretto da Todd Phillips.
Il film narra la storia di Arthur Fleck, disadattato sociale affetto da sindrome pseudobulbare, una rara condizione che si manifesta in nevrosi di vario genere, tra cui la risata incontrollata e ininterrotta che il protagonista non sa frenare quando si trova in una situazione di stress emotivo. Arthur è emarginato e, quando tenta di coronare il suo sogno di diventare uno stand-up comedian, viene messo alla berlina sulla TV nazionale da Murray Franklin, famoso presentatore il cui show è seguito da milioni di telespettatori. La serie di angherie si aggiunge al fatto che nessuno, intorno ad Arthur, riesce a prendere sul serio la sua situazione: né la psichiatra che lo tratta come un fascicolo da sbrigare in fretta, né Arthur Wayne, che lo considera un ridicolo reietto. Nessuno, intorno a Fleck, riesce a prendere sul serio il suo dramma, ed è proprio questo che lo trasforma nel Joker.

La pellicola di Todd Phillips è un’ottima metafora di quel che accade con il sarcasmo oggigiorno. Non prendiamo più nulla sul serio proprio perché ci sentiamo sperduti e l’ironia diventa lo strumento adeguato a creare la giusta distanza dal mondo. Ridere della patologia di Arthur è un po’ come creare il meme sulla foto di Aylan morto sulla spiaggia: c’è un dramma con cui non sappiamo fare i conti e la nostra unica arma è una risata senza divertimento, esattamente come la risata patologica di Arthur Fleck.

Quella risata senza gioia, quella nevrosi incontrollabile, è lo specchio del nostro sarcasmo fatto di “ahahah” senza reali risate, di applausi finti laddove tutti si sentono in imbarazzo, di meme in risposta alle tragedie del mondo.

A ciò si aggiunge la figura emblematica di Murray, il presentatore che invita in trasmissione Arthur solo per metterlo alla berlina. Murray Franklin incarna perfettamente la stortura del sarcasmo contemporaneo: egli è una figura che usa l’ironia contro gli altri, contro il mondo, contro ciò che spaventa, e non ha un briciolo di auto-ironia che sorregga la sua comprensione del mondo. Il film ci suggerisce una cosa importantissima e vera: se la risata che opponi al mondo non è accompagnata ad una risata auto-ironica, il tuo sarcasmo ti si rivolterà contro.

I grandi satirici della storia, da Bill Hicks a Jonathan Swift, avevano una grande auto-ironia e la capacità di fondare il proprio umorismo sulla comprensione della propria esistenza: il sarcasmo diventa prezioso quando è passato per i meandri della propria personalità, quando ha saputo scandagliare le contraddizioni insite nell’animo di chi ne fa uso. Senza questo elemento, grazie al quale l’autocritica diventa il carburante della critica, il sarcasmo si trasforma in una pura arma passivo-aggressiva. Murray Franklin ride di Arthur Fleck e scatena la risata crudele del pubblico per perpetrare se stesso, per soverchiare la paura della realtà con un fenomenale scroscio di false risate. Non c’è alcuna verità nella satira di Murray, né capacità di comprendere il mondo nel meme televisivo che crea, ovvero Joker.

Joker ci racconta la genesi e l’epilogo della società dei meme: nata da persone spaventate che non sanno ridere della propria condizione e che oppongono ai drammi del mondo una finta risata che tenta di esorcizzare la realtà, creando in questo modo i mostri che porranno fine ad ogni risata.

Questo era esattamente quello che intendeva David Foster Wallace quando criticava l’uso che si fa dell’ironia, non più intesa come strumento occasionale per capire meglio i fenomeni ma come chiave interpretativa della realtà che va bene per ogni cosa. Nel mondo di oggi ridiamo di tutto prima ancora di chiederci che cosa, in quel tutto, meriti la nostra serietà e attenzione, semplicemente perché il meme è diventato la scusa buona per prendere le distanze da ciò che ci fa male e che ci urta. Se in Jonathan Swift la satira era il grimaldello con cui si potevano riconoscere alcune verità, nella società del meme eterno il sarcasmo è l’ennesimo Velo di Maya che maschera la realtà con la finta risata delle chat.

Se con Bill Hicks l’ironia era un modo per far spiccare qualcosa in mezzo all’indistinto del mondo, nella televisione dei Murray Franklin la battuta viene lanciata proprio per rendere tutto più indistinto, per ricacciare nel rumore e nell’insignificanza qualsiasi cosa sia degna di attenzione e serietà. Se il comico vero basa il suo umorismo sull’auto-ironia che permette di guardare il mondo con maggiore lucidità, il produttore di meme oggi non ha alcuna intenzione di fare ironia su di sé perché questo lo metterebbe a nudo, mentre il meme lo avvolge nella calda coperta dell’ennesima finzione.

In tutto questo, la verità viene perduta nei meandri delle risate finte, preregistrate, nelle battute che fanno ridere solo le chat perché mostrarsi seri e preoccupati di fronte ad Arthur Fleck rischia di tradire la nostra fragilità.

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Questo è il video su Ricky Gervais

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