Credo che la felicità sia un discreto criterio di valutazione, ma non possa essere un vero e proprio obiettivo di vita. Essere felici, insomma, può essere uno tra i segnali che ci dice che stiamo andando nella strada giusta, ma non è la strada giusta in sé.
Si può essere felici e miserabili al tempo stesso, così come si può essere infelici ma instradati sul giusto percorso di vita.
Questo accade perché la felicità, spesso, viene confusa con l’appagamento, la soddisfazione o la serenità: quando abbiamo nutrito i nostri bisogni o quando ci sembra di aver eliminato tutti i problemi ci sentiamo felici, eppure quel tipo di felicità non è duratura (i bisogni ritorneranno, così come i problemi) né sotto il nostro controllo.
Se mettiamo quel tipo di felicità come obiettivo di vita, falliremo miseramente nel perseguirlo e mantenerlo.
A questo aggiungiamo che la felicità ha molto di chimico: anche un tossicodipendente, quando fa uso della sua sostanza preferita, sperimenta la felicità in misura incredibile, ma poi cade nello stato contrario, rendendo sempre più difficile rivivere l’estasi. Anche un individuo violento di natura può sentirsi felice quando picchia qualcuno, ma questa è davvero la felicità desiderabile?
Credo che un obiettivo di vita debba avere caratteristiche diverse da quelle appena descritte: deve essere duraturo, dev’essere il più possibile sotto il nostro controllo, deve migliorarci come individui.
Per questo, alla ricerca della felicità mi sento di contrapporre la ricerca di sé: non soddisfare i bisogni, ma capire come sorgono i bisogni dentro di me; non eliminare i problemi ma comprendere in che modo certi problemi impattano sulla mia vita. Consapevolezza, insomma, prima di appagamento.
Ma soprattutto, la ricerca di sé mi permette di dire: io sono davvero io. Io sono presente a ciò che mi accade, lascio la mia irriducibile traccia su quel che dico e faccio, do la mia forma all’esistenza che incarno. Non vivo la vita d’altri, non mi lascio passivamente andare alla felicità-a-consumo, ma sto davvero nei miei panni e sono presente a me stesso.
In questo caso, la felicità si può raggiungere, anche se non è garantita: la ricerca di sé potrebbe portarci a sacrifici, a sofferenze che ci impediscono di essere davvero felici. Ma la ricerca di sé, per quanto non lo garantisca, è la condizione necessaria alla felicità.
E se pensiamo di poter essere felici senza aver compiuto una ricerca profonda di quel che siamo, allora siamo degli illusi e la felicità di cui ci convinceremo sarà altrettanto illusoria.